TORINO – Si sta avviando al termine, grazie alle ultime mietiture, la stagione del grano in provincia di Torino, segnando una perdita di produzione del 30%. Su una superficie coltivata a grano di circa 15.000 ettari la resa stimata per il territorio torinese è di circa 500mila quintali, contro una resa ottimale di 700mila.
La causa è la siccità nelle due stagioni cruciali. Tra l’inverno e i primi caldi è mancata l’umidità nel terreno che serve alla piantina per iniziare lo sviluppo dei “culmi”, i fusti da cui nascono le spighe. Normalmente una pianta di grano produce 12-15 fusti con spiga, con la siccità invernale le piante hanno prodotto 5-6 spighe. Con il clima anomalo registrato in primavera avanzata, secco e caldo, le poche spighe hanno, a loro volta, prodotto dai due terzi alla metà dei chicchi di una stagione normale. Nelle aree toccate dalle recenti grandinate il calo arriva per alcuni campi anche al 100%.
Con il termine delle trebbiature iniziano anche a delinearsi le quotazioni del nuovo raccolto. La Borsa merci di Torino segnala quotazioni dai 350 ai 370 euro a tonnellata, contro i 240-260 dell’anno scorso per effetto della crisi climatica globale che riduce le produzioni nelle grandi aree cereralicole del mondo, per effetto della guerra e soprattutto per effetto delle speculazioni.
Il fatturato atteso per il grano torinese è di circa 20 milioni di euro con una tendenza per la provincia di Torino a diventare sempre più importante nel mondo dei cereali (per il grano la provincia di Torino è la seconda provincia del Piemonte dopo quella di Alessandria).
La maggiore quotazione del prodotto finirà per provocare un aumento nella spesa quotidiana dei consumatori. I maggiori ricavi, tra l’altro, compensano appena i rincari di concimi, gasolio ed energia che colpiscono le aziende agricole.
«Questo è l’anno in cui dovremmo aumentare la produzione locale di grano – osserva il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici – Invece abbiamo un forte calo di rese che aumentano la dipendenza dei forni torinesi dai cereali importati, in una situazione di mercato globale dove il grano ha raggiunto prezzi altissimi».
In questo quadro preoccupante arrivano segnali incoraggianti dalla filiera tutta locale del grano della collina chivassese, la filiera del Gran dij Bric, importante filiera del grano di qualità. Nata nel 2016 con un accordo tra Coldiretti Torino e il mulino di Casalborgone, la filiera del Gran dij Bric (in piemontese, “grano delle colline”) valorizza il grano tenero locale e garantisce la giusta remunerazione sia agli agricoltori che ai trasformatori e ai produttori finali senza incappare nelle speculazioni.
Le prime semine sono avvenute nel 2017, oggi, la filiera conta 20 aziende agricole aderenti con oltre 116 ettari coltivati tra i 12 comuni compresi tra Casalborgone, Castagneto Po e Verrua Savoia. Un trend in crescita, a dimostrazione che i contratti di filiera sono la strada giusta per garantire agli agricoltori un equo compenso per il loro lavoro e ai consumatori un’alta qualità del prodotto. Nel 2020 erano 93 gli ettari coltivati secondo il contratto di filiera, ma nel 2021 era già saliti a 107 ettari.
«Con il 2022, per la prima volta, abbiamo superato i 140 ettari – sottolinea con soddisfazione Giancarlo Chiesa vice direttore di Coldiretti Torino – Vuol dire che gli agricoltori credono in questa filiera e che il progetto si sta consolidando. La qualità del raccolto è incoraggiante ma non avremo le quantità necessarie per fare il salto nel mercato della panificazione e dei prodotti da forno del Torinese».
Le superfici della filiera del Gran dij Bric sono sempre più seminate a grani “di forza” adatti a produzioni di qualità.
«Le farine macinate dal mulino di Casalborgone sono sempre più ricercate per prodotti di altissima qualità – dichiara Ornella Cravero presidente sezione Coldiretti Casalborgone – Il grano prodotto sui colli chivassesi è uno dei migliori d’Italia grazie alla maturazione rallentata che migliora il contenuto di proteine. Dopo questi primi anni di avvio, possiamo dire che la filiera ha passato l’esame toccando ormai un valore complessivo della produzione di circa 250mila euro e coinvolgendo una sessantina di addetti. Ora, insieme agli amministratori locali abbiamo il compito di promuovere la filiera e fare conoscere il marchio presso i consumatori, a partire da quelli torinesi.
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