ECONOMIA – Dopo più di due anni di confronto, i tre principali organi dell’Unione Europea coinvolti nel processo legislativo (Parlamento, Consiglio e Commissione) sembrano aver trovato un accordo sulle norme che regoleranno lo strumento del crowdfunding per il finanziamento delle imprese all’interno dell’Unione.
Il testo finale, che sarà sottoposto a votazione per l’approvazione definitiva nella sessione plenaria del Parlamento Europeo di lunedì 5 ottobre, prevede l’applicazione di un regime armonizzato in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Ogni piccola e media impresa potrà presentarsi ai piccoli e grandi investitori, anche di altri Paesi dell’Unione, attraverso portali autorizzati e raccogliere fino a 5 milioni di euro per anno. Saranno le autorità competenti di ciascun Paese ad autorizzare, in presenza dei dovuti requisiti, e vigilare sulle piattaforme di crowdfunding. La nuova normativa prevede numerosi meccanismi di tutela per gli investitori e sarà operativa, in caso di approvazione, da fine 2021.
La regolamentazione al vaglio finale del Parlamento Europeo riguarderà sia la modalità che prevede che gli investitori diventino soci della società (equity crowdfunding) sia quella per cui il capitale viene restituito insieme ad un interesse (lending e debt crowdfunding) e andrà a sostituire, dopo un periodo di transizione, le normative nazionali.
L’Italia è stato il primo Paese a regolamentare – tra il 2012 e il 2013 – l’equity crowdfunding, che ha finora portato nelle casse di oltre 500 start-up e PMI italiane complessivamente più di 150 milioni di euro, grazie a migliaia di investitori che sono oggi soci di queste società. Il debt crowdfunding è invece regolamentato in Italia dal 2019 dalla normativa Consob per le piattaforme autorizzate a svolgere l’attività di gestori di portali di equity crowdfunding, ma finora si contano pochissimi casi di utilizzo di questo strumento. In Italia, infine, l’attività di lending crowdfunding sviluppa numeri assolutamente interessanti, ma il quadro normativo risulta particolarmente frammentato e permette anche la partecipazione di operatori non direttamente autorizzati da autorità italiane, suscitando da più parti perplessità e critiche.
Carlo Allevi, amministratore delegato di WeAreStarting, uno dei 42 portali di equity crowdfunding attualmente autorizzati in Italia, commenta: “Abbiamo seguito negli ultimi due anni l’evoluzione di questa proposta, che finalmente si sta trasformando in normativa. L’equity crowdfunding italiano, nonostante i miglioramenti apportati nel corso degli anni e i risultati positivi dimostrati dalle società finanziate, ha raggiunto risultati ben al di sotto delle potenzialità: solo pochissimi italiani sono diventati soci di minoranza di una start-up o di una piccola/media impresa. Ci aspettiamo che la normativa UE permetterà di risolvere alcuni limiti della normativa attuale, sanando anche parte dei limiti dell’attuale normativa su debt-based e lending crowdfunding, e di coinvolgere investitori esteri”.
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