Riccardo Serventi Longhi, la tua carriera artistica è passata attraverso registi che hanno fatto la storia del nostro cinema: da Monicelli a Vanzina. Il talento dell’attore viene spesso associato alla capacità di entrare in empatia con personaggi eterogenei. Qual è stata la tua personale esperienza nel metterti nei panni degli altri attraverso i ruoli interpretati e quali insegnamenti ne hai tratto?
R. Che non possiamo mai essere certi di chi siamo veramente, se non abbiamo abbracciato le infinite differenze che abitano ognuno.
Quando interpretavo un personaggio, a volte mi stupivo nel sentirmi così a mio agio in certi “caratteri” che pensavo di non avere. Dai più alti e benevoli a quelli che non accettiamo di noi, perché tendiamo a sentirci tutti “migliori degli altri”. Ho interpretato simboli della purezza e dell’Amore (con la A) più profondo, come Fiodor in Fantaghirò, o balordi come in Palermo Milano, o nelle fiction televisive come Distretto di Polizia o La squadra. In Maschera di cera di Sergio Stivaletti ero un giornalista in cerca di verità, ma con lo stesso regista sono diventato un lupo mannaro ne “I tre volti del terrore” e ne “Il velo di Waltz” un manipolatore punito dalla propria arroganza e smania di perfezione esteriore. E poi molto altro, anche in teatro. L’amore per Shakespeare. La comicità dei testi che ho incontrato mi ha svelato i paradossi che viviamo nella quotidianità, e mi hanno dato l’apertura verso il riderci sopra. Verso la leggerezza.
Ognuno di questi abiti che indossavo mi facevano sfiorare le tante sfaccettature che ci impregnano, ma che non siamo realmente noi. Sono solo un punto di vista. Ho iniziato lì a sentire che non siamo quello che crediamo, né quello che pensiamo. Noi, come gli altri che incontriamo. O almeno non lo siamo in modo definitivo. “Sono fatto così” è una terminologia impossibile nell’uomo. Una convinzione che non regge. La vita è una Dramedy, una commedia a volte dramma, dove tutto cambia all’improvviso. Dove un funerale può farti trovare degli spunti di sorriso impensabili, ed un momento di felicità, può farti ripercorrere stati di malessere, perché magari collegati a qualcuno che non c’è più. Una malattia può innalzarci a stati di accoglienza e consapevolezza così misteriosi ai più, e un apparente appagamento può lasciare da lì a breve, un senso di vuoto e insoddisfazione. Insomma, come dicono i saggi, niente è come sembra, neppure noi. Siamo attori che possono imparare bene la propria parte, ed è giusto recitarla bene, ma sono solo ruoli temporanei. Dovremmo essere sempre pronti all’improvvisazione. Al cambiamento. A lasciar andare la storia che abbiamo vissuto, le cose che ci circondano, le persone, verso la nostra e la loro evoluzione migliore. Nella vita non ci sono i ciack in cui si può ripetere. E’ molto più interessante! La felicità è una condizione che affiora quando ci spogliamo di strati e strati di maschere che ci trattengono in ruoli di cui non abbiamo più bisogno.
Da anni la tua vita è dedicata all’insegnamento dello Yoga, una disciplina millenaria le cui radici si fondano sulla cultura orientale. L’individuo viene inteso attraverso un punto di vista energetico, che abbraccia l’idea che dentro di noi esistano punti (chakra) la cui stimolazione permette alla persona di raggiungere un equilibrio ed una completezza individuale e spirituale. In questo occidente frenetico e distratto perché, a tuo avviso, è importante praticare Yoga?
R. E’ esatto, lo yoga tende ad una ricerca interiore, quella che i grandi Maestri del passato penetrarono come pionieri, perché non avevano punti di riferimento anteriori a loro, che va nella direzione della riscoperta sottile dell’esistenza. Tutto è energia, questo non lo dice solo lo Yoga, ma la scienza, dopo millenni che in India si urlava ai quattro venti. Qui da un centinaio di anni. Meglio tardi che mai no?
Questa energia è intesa come Forza Vitale. Si chiama Prana. Tutto è sostenuto, attraversato, e vive grazie a questo. Non viviamo perché respiriamo, perché i polmoni si muovono etc, in fondo se mettiamo le bombole di ossigeno ad un cadavere, i polmoni si muoverebbero, ma non risorgerebbe (molto probabilmente). Perché la Forza Vitale non c’è più. Ed è il ritrovare la relazione con il Prana che determina la nostra esistenza in qualità e direzione. Perché l’energia di cui si parla nello yoga, il Prana appunto, sostiene tutto, attraversa tutto. E nella sua forma più sottile il prana è pensiero. Basta ascoltarci quando ci sentiamo “giù” oppure “alle stelle”. E’ la modalità più semplice per comprendere cos’è l’energia in noi.
Questa forza vitale ci attraversa in lungo ed in largo ovunque. Ed è presente ovunque. Nel sentiero che seguo, che si fonda sugli insegnamenti di un grande maestro che si chiamava Paramhansa Yogananda e che portò lo Yoga in occidente nei primi anni del ‘900, ha una porta d’accesso primaria che è il midollo allungato, alla base del nostro cervello. I cakra di cui parlavi, si trovano lungo la nostra colonna vertebrale, diciamo energetica. Non sono tangibili, non sono visibili, e la collocazione è solo un riferimento fisico. Nessun rx o risonanza magnetica li troverà. Eppure sono loro che manifestano chi siamo e non viceversa. Sono livelli della nostra coscienza e rivelano noi a noi stessi e, ovviamente, anche all’esterno. La nostra personalità dimora nei cakra. In modo molto semplicistico ma efficace, riguardano (dal basso verso l’alto, dal coccige alla cima della testa) 1° la nostra fiducia, il nostro radicamento, la determinazione, la stabilità– 2° la capacità di accogliere i cambiamenti, di vivere adeguatamente il piacere, di lasciar andare – 3° La concentrazione, la capacità di agire con chiarezza e benevolenza, l’autocontrollo non repressivo – 4° l’Amore impersonale, la devozione, l’apertura incondizionata, il coraggio, la gioia- 5° la calma interiore, la capacità di ascolto di sé e dell’altro, di vedere più ampiamente l’esistenza – 6° Saggezza intuitiva, intelligenza non autoreferenziale, capacità di osservare l’unione nelle cose piuttosto che le divisioni. 7° Lo stato di completa espansione della coscienza.
Questi sono i punti di riferimento su cui potremmo basare la consapevolezza di ognuno di noi, chiedendoci come stiamo messi con questi argomenti.
Combattiamo costantemente per qualsiasi cosa. Siamo distratti, come dici tu, siamo separati da noi stessi e, di conseguenza, l’altro non esiste se non come compensazione, se mi serve va bene, se non mi serve, è un potenziale problema.
Siamo disposti a tornare ad ascoltarci davvero? Perché il mondo va nella direzione che vediamo, perché abbiamo perso l’ascolto. Il discernimento. Il senso del vero Sé. Eppure in ognuno di noi c’è un potenziale infinito. Davvero. Siamo tesori nascosti a noi stessi. Lo Yoga è una mappa per riscoprirci.
Credo sia più che importante un cammino del genere.
Il mondo contemporaneo si contraddistingue per una sempre maggiore quantità di stimoli artificiali, siamo invasi da una molteplicità di informazioni che passano attraverso le nuove tecnologie. Ritieni che gli uomini abbiano perso la capacità di ascoltare? Quanto è importante la dimensione (dimenticata) del silenzio per le nostre vite?
R. Come ti dicevo prima, sì. O meglio, abbiamo dimenticato di ascoltarci un bel po’ di tempo fa (non tutti per carità). L’esterno, l’ambiente, ci trasforma. Ma basta accorgersene e fare una pausa. Nessun passo indietro. Non serve recriminare o altro. Una pausa. Il tempo di accorgersi è tutto. Una pausa, breve. Come quella necessaria fra l’inspirazione e l’espirazione. Se non ci fosse, se ci fosse solo una lunga inspirazione, esploderemmo al primo respiro da piccoli. Una pausa che ci permetta di lasciar andare quello che abbiamo accumulato, per far entrare, poi, il nuovo che cerca di avvenire in noi giorno dopo giorno. Come nell’atto di respirare. La vita inizia con un’inspirazione e termina con una espirazione. E nel mezzo? Ci accorgiamo mai di respirare? Eppure è l’essenza della nostra esistenza. Il silenzio è qualcosa che ci sostiene. Ci siamo poggiati sopra, è come la tela su cui si poggia un capolavoro. Non la vediamo, ma se non ci fosse, non vedremmo il capolavoro. Ed è su quella tela che è tessuta la nostra vita.
Fare silenzio (dentro, non fuori soltanto) è un’esperienza trasformante, perché il silenzio è uno specchio che ci indica se la vita che stiamo percorrendo è la nostra o è un binario di automatismi e tentativi di copiare qualcun altro. Di riprodurre meccanismi.
Il silenzio dai pensieri, da quel chiacchiericcio che ci accompagna ovunque. Quel silenzio è sacro. Il punto da cui ripartire. Ogni giorno. In ogni esperienza.
I conflitti attraversano il nostro pianeta, giornali e politica non temono di annunciare investimenti in nuove armi. Possiamo affermare che nel 2024 parlare di guerra e di “entrare in guerra” non è più un tabù culturale? Cosa è successo in questi anni?
R. Non lo so. L’uomo sembra avere in sé un seme davvero difficile da far seccare. La violenza. Riguarda ciò che ci siamo detti finora. Nello Yoga, la prima lente in assoluto sotto cui il nostro sguardo deve posarsi per osservarsi è proprio Ahimsa: la non violenza. Stanare in sé ogni sfumatura di aggressività. Non reprimerla, osservarla. Rendersene conto. Lasciarla affiorare per essere trasformata.
Non la sopportazione. Non il sorriso benevolo quando dentro bruci.
Forse abbiamo vissuto culturalmente un tempo lungo di repressione, più che di pace. Una pace basata sulle differenze sociali, sulle disuguaglianze da mantenere per poter vivere (una parte del mondo-noi) meglio degli altri. Poi le ragioni si confondono.
L’equilibrio in natura non esiste, è sempre una continua trasformazione.
Se non entrassimo in guerra quotidianamente con noi stessi cercando di ottenere sempre qualcosa, in continuazione, in continuazione…
Ognuno può divenire in grado di offrire sé come tassello di un mondo nuovo, e non è tardi per farlo.
Il nostro mondo conoscerà presto una rivoluzione tecnologica che impatterà le nostre vite. A tuo avviso saremo in grado di veicolare il progresso a beneficio degli esseri umani o permarrà la logica del consumo e l’idea economicista che ha attraversato l’ultimo trentennio?
R. Quello di cui sono certo è che non possiamo evitare quello che sta accadendo. Questa sarebbe sì, un’ utopia. Il problema non sono le macchine, ma chi gestisce le macchine, chi inserisce i dati. Cosa desidera la mano che compie l’azione? Ma le risposte che chiediamo alla tecnologia, sono il risultato di come poniamo la domanda. Le nuove generazioni hanno in mano la loro libertà o il countdown, e non credo sia arrivato quel momento. Non so se ci sia una volontà globale di migliorare il genere umano, sinceramente, di elevarne le coscienze, ma nel singolo accade quotidianamente qualcosa di straordinario, e ho grande fiducia. E se questi “singoli” iniziassero loro ad inserire i dati?
Le generazioni future dovranno vivere in un universo in cui la velocità dei cambiamenti coinvolgerà sempre più la vita umana: processi produttivi, flussi migratori, rinnovamento dei costumi. A tuo avviso occorre mantenere saldi alcuni valori del nostro passato per costruire il futuro, oppure occorre essere resilienti alle sfide abbracciando tout court il cambiamento?
R. Tutto quello a cui ci opponiamo, è solo un ostacolo solo provvisorio. Crea sofferenza. Puoi fermare le maree? Dipende da cosa intendiamo per valori. Certamente il passato insegna, ma noi siamo figli del futuro, è in quella direzione che stiamo andando, e dovremmo costruire il nuovo con stupore ed intuizione. Le vecchie regole non reggono più.
Quale contributo vorresti trasferire alle generazioni future che dovranno costruire il mondo di domani?
R. Ripartiamo da chi siamo davvero. Non imitiamo, non copiamo, manifestiamo la motivazione per cui siamo venuti al mondo. Non cediamo alla difficoltà, ai luoghi comuni, alle abitudini. Lo Yoga mi ha donato la concretezza e l’immensità del momento presente. E’ lì che ti accorgi qual è il bivio da prendere.
Si è giovani finchè esiste in noi un progetto. Molti ragazzi non lo hanno perché hanno seguito iter prefiniti da qualcun altro. Non è mai tardi. Oggi ho parlato con una ragazza che mi ha detto “ormai a 30 anni….” (e non li aveva!!) Ci sono sessantenni, settantenni con una vitalità e una fecondità da ventenni, e ventenni che ancora aspettano che qualcuno gli dia un’idea.
La cercano sui social, si conoscono sui social, si incontrano online. Non dico che sia sbagliato, tutto ciò che viviamo non è demonizzabile, ma la creatività, la poesia, la bellezza, hanno a che fare con il vissuto vero.
E queste sono le basi di un’esistenza felice. Trova la bellezza in ciò che fai e ti accorgerai che quella bellezza è qualcosa che proviene da dentro di te. Il sole ogni giorno rende se stesso per quello che è. Per questo illumina.
Qualunque cosa tu faccia, che possa rendere migliore la giornata a qualcuno, oltre che a te. Non la vita. Lascia stare i tempi lunghi. Solo la giornata o poco più. Allora ogni giorno saprai dove sei. Chi sei. Dove vai. In ogni cosa che farai.
Alessandro Trabucco