La filosofia, scrive Aristotele, comincia con la meraviglia. Il filosofo osserva il mondo e si stupisce, il suo sguardo si posa sugli eventi della natura e si interroga sulle cause, l’origine, lo scopo e persino sul come. La filosofia, sempre secondo Aristotele, non ha alcun fine pratico, le conoscenze che si ottengono attraverso l’indagine filosofica sono così appaganti che non hanno bisogno di essere trasformate in qualcosa di utile.
In questi giorni si è quasi scatenato un incidente diplomatico tra l’ Italia e la Gran Bretagna a causa di un neonato Alfie Evans, a cui i medici inglesi hanno deciso di sospendere le cure che lo tenevano in vita, dal momento che secondo i loro protocolli scientifici non c’era alcuna possibilità di guarigione e quindi si trattava di una sorta di accanimento terapeutico. Naturalmente la decisione dei medici inglesi ha diviso l’opinione pubblica fra coloro che sostengono la scienza e quindi la razionalità della decisione e coloro che invece difendono il valore della vita a prescindere e che quindi vorrebbero che le macchine continuassero a tenere in vita il piccolo Alfie.
Ciò che però è sorprendente in questa vicenda non sono le contrapposizioni ideologiche che si sono generate, bensì il fatto che il bambino, contrariamente a tutte le previsioni, anche dopo l’interruzione delle cure ha continuato a vivere.
Sempre Aristotele pensava che la conoscenza del mondo che il filosofare assicura si può sintetizzare con la parola teoresi, che è composta da altri due termini, horao, che significa guardare, osservare e thea, spettacolo. Da un punto di vista letterale il filosofare, che è teoresi, si concretizza nel guardare lo spettacolo del mondo, della realtà.
Di fronte alla vicenda del piccolo Alfie il filosofo non ha bisogno di prendere necessariamente una posizione. È sufficiente la meraviglia che consegue allo spettacolo del mondo che smentisce il rigore scientifico e impone alla nostra attenzione l’imprevedibile ostinazione della vita che non vuole arrendersi.
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