TORINO – E’ stato inaspettato per i Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Torino, impegnati nei controlli di sicurezza per la “prevenzione del rischio criminale”, notare che, all’interno di una vetrina di un museo di storia locale in area piemontese, 35 monete e altri oggetti metallici recassero palesi concrezioni terrose e ossidazioni, riconducibili alla provenienza dal sottosuolo. Alla richiesta di spiegazioni, il personale del museo ha sostenuto di “aver trovato gli oggetti nei terreni della zona, per poi destinarli al museo”. I militari, preso atto di quanto affermato e accertando l’omessa comunicazione alle Autorità di Pubblica Sicurezza e/o alla Soprintendenza, hanno sequestrato i beni illecitamente terreni, salvo specifica autorizzazione ministeriale.
L’Art. 518-bis. – (Furto di beni culturali) previsto dal Codice Penale, applicabile nelle ipotesi di reato più gravi, recita “ Chiunque si impossessa di un bene culturale mobile altrui, sottraendolo a chi lo detiene, al fine di trarne profitto, per sé o per altri, è punito con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 927 a euro 1.500”.
La pena è della reclusione da quattro a dieci anni e della multa da euro 927 a euro 2.000 se il reato è aggravato da una o più delle circostanze previste nel primo comma dell’articolo 625, o se il furto di beni culturali appartenenti allo Stato è commesso da chi abbia ottenuto la concessione di ricerca prevista dalla legge.
Inoltre, chi viene a conoscenza di scavi archeologici clandestini o di detenzione illecita di materiale archeologico deve informare prontamente il Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale oppure le Forze dell’Ordine presenti sul territorio per impedire la continuazione del reato.
Il Ministero della Cultura può rilasciare concessioni di ricerca a privati o enti pubblici aventi i requisiti scientifici di legge. Il progetto di ricerca deve avere un interesse culturale e una rilevanza scientifica e soprattutto deve essere compatibile con gli obiettivi di tutela territoriale dell’organo periferico del MiC preposto (Soprintendenza competente per territorio), ex art. 89 del D.Lgs. 42/04 e s.m.i. Si ricorda che l’uso del metaldetector per le ricerche archeologiche è così disciplinato:
pur essendone consentita la compravendita, la detenzione e l’uso del metaldetector, in nessun caso può essere utilizzato da privati per condurre ricerche su terreni pubblici o privati. L’uso dello strumento infatti potrebbe far rilevare la presenza di materiale archeologico sepolto che, per nessuna ragione va portato in luce con azioni improvvisate, senza un criterio scientifico. Il divieto dell’uso del metaldetector, per questo tipo di ricerca, non è limitato alle sole aree censite, bensì riguarda l’intero il territorio nazionale;
l’uso del metaldetector per la captazione in superficie su terreni è di fatto una vera e propria ricerca archeologica. Se si dà seguito alla percezione del segnale emanato dallo strumento, che rileva la presenza di metalli, e si seguita con la rimozione dello strato superficiale del terreno, per verificare la presenza di oggetti, si pone in essere una condotta illecita. Questo tipo di attività è materia devoluta per legge allo Stato (MiC).
Qualora vi siano gli estremi per una scoperta fortuita di beni archeologici mobili o immobili, ne deve essere fatta denuncia entro ventiquattro ore al Soprintendente o al Sindaco ovvero all’autorità di pubblica sicurezza e si deve provvedere alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute. Della scoperta fortuita sono informati, a cura del Soprintendente, anche i carabinieri preposti alla tutela del patrimonio culturale, ex art. 90 del D.Lgs. 42/04 e s.m.i.
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