RIVAROLO CANAVESE – “Cosa può fare la politica…e non solo” contro la violenza di genere? E’ stato questo il filo conduttore del “Convegno sulla violenza di genere” organizzato da Muovi Rivarolo nella serata di ieri, venerdì 10 marzo, che ha catalizzato l’attenzione di tantissime persone: donne, uomini, amministratori comunali. La sala dell’Hotel Rivarolo, infatti, ha fatto il pienone, grazie ad un argomento così sentito come quello della violenza di genere. A moderare la serata il giornalista Mauro Michelotti che, complici alcuni brani tra poesie e racconti, ha saputo trasmettere quell’empatia necessaria per comprendere a fondo il dolore e l’impotenza che le vittime di violenza si trovano a provare.
Dopo i saluti del Sindaco della città, Alberto Rostagno, e il video saluto del Governatore della Regione Piemonte Alberto Cirio (assente all’ultimo per altri impegni improrogabili), hanno preso la parola la Professoressa Manuela Muzzolini, la psicologa e psicoterapeuta del Carcere di Ivrea e Biella, la Dottoressa Maria Margherita Pezzetti, la Senatrice Paola Ambrogio, l’Onorevole Daniela Ruffino, Paola Eusibietti della FIM-CISL ed il Procuratore Antonio Rinaudo. Si è iniziato parlando di una questione fondamentale: l’educazione delle giovani generazioni perché tutto parte proprio da lì. “L’altro giorno sono rimasta profondamente colpita da un’osservazione fatta da una mia alunna: la violenza di genere non esiste, ma esiste la violenza punto e basta. Come darle torto? Noi a scuola cerchiamo di consapevolizzare i ragazzi attraverso la comunicazione non ostile, che vuole favorire comportamenti rispettosi e civili anche, e soprattutto, rendendo la rete un luogo accogliente e sicuro per tutti. Noi educatori dobbiamo essere delle sentinelle e cogliere tutti i campanelli d’allarme, educare per abbattere tutti gli stereotipi ed è fondamentale la formazione degli insegnanti in questo senso. Dobbiamo combattere quel senso di solitudine e di mancanza di autostima che sta attanagliando i giovani, aspetti che sono amplificati dalla rete, ed educare dei giovani responsabili” ha commentato la Professoressa Manuela Muzzolini, insegnante presso l’Istituto Ubertini di Caluso.
Ma qual è, e quale deve essere il ruolo della politica nella lotta contro la violenza di genere? Ad affrontare la questione sono state due parlamentari, la Senatrice Paola Ambrogio e l’Onorevole Daniela Ruffino. “Se i numeri delle vittime di violenza rimangono così alti significa che quello che stiamo facendo non è abbastanza. La politica ed il governo si stanno adoperando: nell’ultima finanziaria abbiamo incrementato i fondi destinati ai centri antiviolenza, alle case rifugio e all’istituzione del “Reddito di libertà”, perché le vittime di violenza domestica possano davvero raggiungere quell’autonomia e aver la forza di allontanarsi dal loro carnefice, riappropriandosi della propria vita. E’ nato anche il microcredito di libertà, gli alberghi solidali ed è stata istituita la Commissione d’inchiesta sul femminicidio. L’attenzione su questo fenomeno deve sempre essere alta, non solo in occasione delle classiche ricorrenze come il 25 novembre o l’8 marzo” ha commentato Ambrogio.
Solidale alla collega l’Onorevole Daniela Ruffino che ha però posto anche l’accento, vista la sua esperienza di amministratore locale, su quanto sia importante e fondamentale rafforzare la rete tra i comuni per combattere la solitudine delle donne vittime di violenza. “Io dico che la politica deve combattere per avere dei servizi come asili nido gratuiti, scuole efficienti che possano dare solidità ed emancipazione a tutte le donne, di ogni estrazione sociale, senza dimenticare il settore dei trasporti pubblici che sono fondamentali per sostenere gli spostamenti di gran parte delle donne italiane e straniere. Lo Stato non deve lasciare soli gli amministratori locali e deve essere spronata ad agire in questo senso, la politica deve lavorare sulle cose concrete”.
Ma accanto alla vittima c’è sempre il carnefice che, se denunciato e condannato, può essere incarcerato. Cosa succede una volta che il colpevole entra in carcere? A spiegare quanto accade è stata la psicologa e psicoterapeuta Maria Margherita Pezzetti: “Dal 1997 lavoro nel carcere di Biella e dal 2018 anche in quello di Ivrea. Posso dire che, da un anno a questa parte, grazie al contributo della Regione Piemonte che ha aumentato le risorse finanziarie destinate in tal senso, vi è stato un notevole cambiamento. Ora ci sono colleghi che si occupano del trattamento dei detenuti condannati per questo tipo di reati aiutandoli a far prendere loro consapevolezza e a comprendere la criticità che li ha portati a tenere una determinata condotta. All’inizio loro tendono a giustificare il comportamento e a dare la colpa alla vittima, ma procedendo con il trattamento in alcuni avviene quella che è definita la revisione critica del reato, ossia la piena coscienza delle proprie azioni. Solitamente la magistratura nega misure alternative alla detenzione durante il primo anno di incarcerazione e, spesso anche dopo l’esito rimane negativo, proprio per la possibilità di reiterazione del reato. Quello che ho notato in tutti questi anni è che, all’interno delle carceri, gli autori di tali reati sono di qualsiasi estrazione sociale: medici, avvocati, operai, segnale che la violenza di genere non è esclusiva di determinate classi sociali”.
E riprendendo proprio il titolo del convegno, ossia cosa si possa realmente fare in Italia, una risposta concreta è arrivata grazie all’intervento del Dottor Rinaudo. Magistrato con una carriera lunga oltre 40 anni, accusatore nei processi contro le Brigate Rosse e sugli assalti ai cantieri no tav, solo per citarne alcuni. Le donne vittime di violenza, giuridicamente e secondo il nostro ordinamento penale, sono realmente tutelate? “Il femminicidio non esiste nel nostro codice penale. Se dobbiamo analizzare il problema concretamente dobbiamo ricondurci necessariamente all’aspetto giuridico. Nel dato statistico che tutti i giornali riportano, e che ho sentito più volte stasera, rientrano tutti gli omicidi commessi a danno delle donne, ma non è detto che si riferiscano tutti ad una violenza contro la donna in quanto tale. Faccio un esempio: se il marito uccide la moglie per intascare l’eredità, siamo sì di fronte ad un omicidio, ma non è un omicidio di genere. Il femminicidio è un omicidio aggravato dalla circostanza, ossia dal rapporto affettivo, matrimoniale o di convivenza che lega l’autore del reato alla sua vittima. Il codice rosso? Il legislatore con questa legge ha avviato una corsia preferenziale di comunicazione tra la polizia ed il pubblico ministero che può essere avvisato anche solo telefonicamente. Sono stati ridotti i tempi di attesa della convocazione della vittima da parte del P.M. che ha 3 giorni di tempo. Penso che questo sia attuabile? Decisamente no! Lo può essere in procure più piccole, ma in realtà come Torino, Milano, Roma è impensabile. L’aumento della pena edittale per tali reati non penso sia la soluzione adatta perchè non penso possa fare da deterrente alla commissione di questo tipo di illeciti. Sono convinto che ciò che debba essere fatto, invece, sono gli interventi preventivi intervenendo immediatamente al primo allert. Compito della magistratura è porre in essere tutte quelle misure idonee a evitare che i comportamenti vessatori sfocino poi in atteggiamenti e violenze psicologiche e fisiche, attuando quanto il nostro codice penale prevede: allontanamento dalla casa famigliare, braccialetto elettronico, divieto di avvicinamento, per esempio” ha spiegato Rinaudo.
Ha concluso il convegno il portavoce di Muovi Rivarolo, Piero Grisolia: “Ringrazio tutti gli intervenuti e tutti i ragazzi del gruppo che con dedizione si sono impegnati nella realizzazione di questa serata”. All’uscita è stato consegnato a tutte le donne un fischietto rosso: uno strumento per attirare l’attenzione in caso di aggressione e violenza. Muovi Rivarolo a breve collocherà anche una panchina rossa, simbolo della violenza di genere, donata alla Città di Rivarolo.
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