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CASELLE – “Di madre in figlia”: quando la violenza sulle donne coinvolge i bambini

Uno sguardo sul problema della violenza sulle donne visto da un angolo diverso, quello offerto dalla sezione cittadina del Pd nella serata di venerdì 25 novembre

CASELLE – Uno sguardo sul problema della violenza sulle donne visto da un angolo diverso, quello offerto dalla sezione cittadina del Pd nella serata di venerdì 25 novembre. L’incontro “Di madre in figlia, da figlia a madre” ha, infatti, messo l’accento su un aspetto di questo triste fenomeno che non può e non deve essere trascurato, vale a dire la situazione dei figli, a volte testimoni, a volte parte lesa, sempre e comunque vittime della violenza che si consuma tra le mura di casa. «Una sorta di circolo vizioso, una tematica che non si può attribuire alle sole donne ma che investe tutta la nostra società», ha sottolineato Angela Grimaldi, chiamata a moderare la serata, in apertura di incontro. Come ribadito delle ospiti, Monica Cerutti e Nadia Conticelli, molto è stato fatto su questo fronte, ma molto resta da fare. Le donne che denunciano una violenza sono la punta di un iceberg, e il 51 per cento dei casi di violenza avveniente in un nucleo famigliare con figli. E proprio per tutelare i figli, molte donne fanno poi un passo indietro, ritirando la denuncia.

CASELLE - "Di madre in figlia": quando la violenza sulle donne coinvolge i bambini

Un punto di vista diverso sul tema l’ha offerto Domenico Matarozzo, dell’Associazione “Cerchio degli uomini”: «È inutile girarci attorno, le cose stanno andando male – ha ribadito – Si lavora nelle scuole ma la situazione non migliora. Ci sono investimenti, sempre troppo pochi comunque, e la situazione non migliora. È giusto e doveroso lavorare sulla famosa punta dell’iceberg, perché è la situazione più urgente. Ma bisogna avere la capacità di affrontare anche quello che ci sta sotto, se vogliamo davvero risolvere questo problema». E allora bisogna partire dal presupposto che i figli respirano le relazioni famigliari, quelle a scuola, quelle della società. «E una relazione sana è fatta di ascolto, dialogo, capacità di accogliere le differenze. È fatta dalla simmetria tra due persone e non nella gara a chi dei due ha più ragione – ha concluso – Ma queste sono cose che non riusciamo a coltivare neppure tra di noi. Non riusciamo ad ascoltare chi non la pensa come noi. Nella nostra società, purtroppo, siamo abituati alle tifoserie, perché ci rassicurano, ci fanno comodo. Un uomo che non riesce ad accettare un “no” è un uomo che è cresciuto in questo modo. Dobbiamo imparare a parlare delle cose che non vanno, anche se non è semplice, quando è ancora possibile cambiarle. Se non lo si fa, la pressione interna delle persone sale fino a quando sfocia nella violenza. È su questo che dobbiamo lavorare, perché celebrare chi non c’è più è sempre una cosa triste, ma sono i vivi che possono provare a cambiare le cose».

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