CASELLE – Un semplice articolo non basterebbe per raccontare questa storia: servirebbe almeno un libro per farci stare tutto. Anche se in questa storia, in qualche modo, un libro c’è già.
Il protagonista è un nome, e un volto, noto a Caselle: Stefano Esposito. Per il quale, dopo due rinvii a giudizio, è stata chiesa una condanna a due anni e mezzo di carcere con una provvisionale a favore della parte lesa (una donna con cui aveva avuto una relazione. Corrisposta, ovviamente) di 25mila euro. Le accuse? Stalking, molestia e minaccia all’incolumità personale. E a dirla così, verrebbe naturale provare un sorta di naturale simpatia nei confronti della (presunta, almeno fino a quando il procedimento non arriverà a conclusione) vittima. Poi, però, a guardare bene le cose, ci si rende conto che c’è più di un motivo per avere dei dubbi: «Sembro un mostro più pericoloso di Hannibal Lecter, un mentitore, un affabulatore demoniaco che avrebbe manipolato per due anni una ragazza – spiega – In realtà non c’è stata una sola indagine in tutto questo percorso. Non un’accusa è stata verificata, non una sola mail è stata analizzata da un perito informatico. Le uniche certezze sono quelle che ho confermato io. Poi ci sono 600 pezzi di carta, classificati dall’accusa come genuini senza che siano mai stati sottoposti ad un atto di indagine, come più volte chiesto dal sottoscritto e dai miei avvocati. Mail, post, telefonate e lettere anonime che mi attribuiscono non sono mai state sottoposte ad alcuna verifica: sono semplicemente state stampate e prese per buone. La lettera anonima non ha neppure la mia grafia, e stando alla presunta parte lesa le telefonate sono state fatte da una voce femminile con una marcata cadenza siciliana. Ma a fronte di tutto questo non è mai stato sollevato alcun dubbio».
Gli elementi certi, per stessa ammissione di Esposito, sono due mazzi di rose inviate alla parte lesa (a relazione in corso… sembra abbastanza normale mandare dei fiori alla persona che si ama) e poi il libro. «Un libro da me scritto sotto pseudonimo, con date, nomi e luoghi fittizi – commenta – Fatto per motivi terapeutici, e i cui proventi sono stati donati all’Airc. Eppure anche quelle pagine non solo sono state integrazione del reato di stalking, ma anche giusta causa di licenziamento per la banca nella quale lavoravo». E dove è nata la storia d’amore causa della vicenda. «Una vicenda per la quale ho perso il lavoro, e sono disoccupato ormai da quasi 800 giorni – aggiunge – Sono sotto indagine e sotto processo da più di due anni, sottoposto a 18 mesi di inutile misura cautelare e sono costretto a vivere con mia madre vedova, che deve mantenere sia me, sia mia figlia di 14 anni. Ma è vero, una colpa ce l’ho. Sono comunista, e non ne ho mai fatto mistero. Sono sempre stato convinto che i diritti costituzionali fondamentali di ogni cittadino dovessero valere anche sul posto di lavoro. Ho sempre, comunque, fatto il mio lavoro, per 17 anni, mantenendo fede ai miei doveri professionali».
Se su questa vicenda invece di un articolo si dovesse scrivere un libro, alcuni capitoli sarebbero dedicati alle incongruenze delle dichiarazioni rese, alle contraddizioni e alle coincidenze che suonano quantomeno strane. E l’ultimo paragrafo si chiuderebbe con una data: quella del prossimo 8 aprile. Quando questa vincerà dovrebbe arrivare a conclusione. «Se in quell’occasione la tesi accusatoria venisse confermata, la sentenza non sarebbe solo un’ingiustizia ma una sommaria persecuzione – conclude Esposito – ma non mi faranno prigioniero. Sono un uomo onesto, nelle mie vene scorre sangue resistente e porto con orgoglio il nome di un partigiano: la mia dignità, il mio onore, la sacralità dei miei ideali, valgono più della mia vita. Con il trucco di potere più vecchio del mondo mi hanno già tolto il lavoro. Non avranno anche la mia libertà».
