TORINO / FERRARA – Alle prime ore dell’alba, la Polizia di Stato ha eseguito le ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Torino e dal Tribunale di Bologna, nei confronti di un vasto gruppo di cittadini nigeriani appartenenti al sodalizio criminale di stampo mafioso denominato “Viking”.
I provvedimenti restrittivi sono stati disposti all’esito di lunghe e complesse indagini svolte, in perfetto coordinamento, dalle Squadre Mobili di Torino e di Ferrara, ed hanno riguardato complessivamente 69 persone (43 provvedimenti della D.D.A. di Torino e 31 della D.D.A. di Bologna, con 5 persone colpite da entrambi i provvedimenti cautelari) delle quali 52 sono state rintracciate sul territorio nazionale.
Per la realizzazione della fase esecutiva, svolta sotto il coordinamento del Servizio Centrale Operativo della Direzione Centrale Anticrimine, sono stati impiegati complessivamente circa 250 uomini della Polizia di Stato, con l’utilizzo di Reparti di rinforzo del controllo del territorio.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi ha consentito di sgominare l’intera consorteria criminale colpendo i personaggi al vertice del livello nazionale dell’organigramma, direttamente responsabili delle nuove affiliazioni, della gestione dello spaccio di sostanze stupefacenti nelle piazze cittadine e dell’attività di sfruttamento della prostituzione.
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Agli affiliati colpiti dalle misure cautelari vengono contestati, oltre al reato di associazione per delinquere di stampo mafioso i delitti di tentato omicidio e associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, rapina, estorsione e lesioni gravissime.
Le attività investigative, avviate nel luglio del 2018, si sono sviluppate attraverso attività tecniche di intercettazione, nonché articolati e dinamici servizi di diretta osservazione e pedinamento sul territorio, ed hanno consentito di individuare i vertici nazionali del cult, in costante e diretto contatto con i leader operanti in Nigeria.
Le investigazioni hanno permesso di ricostruire nel dettaglio la struttura del sodalizio criminale, caratterizzato da un’organizzazione piramidale, che si connota con la presenza di un organismo operante a livello nazionale e di numerose articolazioni locali attivi in singole città italiane, soprattutto del centro-nord.
L’organizzazione presenta tutti i caratteri di un’associazione di tipo mafioso, poiché connotata, anzitutto, da una precisa struttura gerarchica con ruoli e cariche ufficiali, a cui corrispondono compiti ben precisi. Le affiliazioni sono caratterizzate da atti violenti e rigidi rituali, che si traducono in un serio e concreto pericolo per la stessa vita degli aspiranti affiliati, che vengono sottoposti ad azioni brutali, all’esito delle quali manifestano l’accettazione del codice comportamentale dell’associazione e la loro fedeltà indiscussa. Altrettanto spietate sono le conseguenze previste in caso di violazione delle regole dell’organizzazione, che si traducono in sanzioni corporali talmente efferate da sfociare talora in tentativi di omicidio. La violenza rappresenta lo strumento di comunicazione privilegiato per affermare la forza dell’organizzazione sul territorio e creare lo stato di soggezione necessario per accrescere il proprio potere.
Altro aspetto di rilievo è stato individuato nella capacità dell’organizzazione di autofinanziarsi, mediante il contributo dei sodali, strumentale anche al mantenimento economico degli affiliati a vario titolo detenuti, come tipico anche delle tradizionali consorterie mafiose italiane.
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Le indagini hanno infine consentito di evidenziare elementi distintivi caratteristici quali il peculiare abbigliamento degli affiliati (baschi con un simbolo di militanza da esibire con orgoglio durante le riunioni) ed una sorta di “papello” da recitare durante i riti di affiliazione.
Sulla piazza torinese, il cult “Valhalla Marine” controllava e gestiva il commercio su strada di sostanze stupefacenti in alcune aree individuate – in particolare nella zona del Lungo Dora Savona, tra via Bologna ed il ponte Mosca – nonché, sempre nella stessa zona, lo sfruttamento della prostituzione di donne nigeriane.
Una delle peculiarità dell’articolazione torinese dell’associazione era rappresentata dal ruolo delle donne, le quali venivano affiliate mediante rapporti sessuali di gruppo ed assumevano l’appellativo di “Queen” o “Belle”. Costrette a pagare somme di denaro in cambio di una inesistente protezione, le “Belle” venivano sfruttate sessualmente, trasformandosi di fatto in vittime del gruppo. Tra loro si evidenziava la figura di una donna detta “One Queen”, unica delle donne ad assumere sostanzialmente la veste di associata con l’incarico di controllare le sue connazionali sfruttate. A riprova della grave condizione cui erano sottoposte, la totalità di costoro si vedeva financo costretta a trasferirsi all’estero, per sottrarsi a tale stato.
Momento associativo fondamentale erano le riunioni periodiche che si svolgevano a cadenza settimanale all’interno di locali abitualmente frequentati dai sodali, in occasione delle quali venivano definite le linee da seguire nello svolgimento della vita associativa ed effettuati i pagamenti di quote destinate alla cassa comune o ad affrontare le spese legali degli affiliati arrestati. L’indagine ha altresì disvelato l’esistenza di una riunione annua, che vede il coinvolgimento di tutti i rappresentanti dei vari Paesi; quella fissata per il giugno 2020, in Turchia, non si è svolta a causa delle restrizioni dovute al Covid.
A livello locale c’erano diverse figure di rango inferiore, che gestivano capillarmente lo spaccio di droga sui territori loro assegnati, e si occupava personalmente dell’organizzazione delle spedizioni punitive nei confronti degli affiliati che si erano macchiati di qualche mancanza o avevano dimostrato poco rispetto.
Le indagini hanno portato anche alla scoperta di un importantissimo canale di rifornimento di cocaina, destinata prevalentemente al Veneto, proveniente dalla Francia e dall’Olanda. La droga veniva prelevata a Parigi ed Amsterdam, grazie all’appoggio di connazionali appartenenti ad una confessione protestante evangelista, da nutrite squadre di “corrieri” che effettuavano il trasporto “in corpore” di numerosi ovuli, rientrando in Italia attraverso i valichi del Monte Bianco e del Frejus. In un’occasione è stato intercettato un carico di circa dieci chili di cocaina, con l’arresto dell’intera squadra di “spalloni” nei pressi del traforo del Frejus.
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