PIEMONTE – Non è la prima volta che accade. Era già successo nel 2015. Allora amministratori di ogni ordine e grado, Comuni, gruppi, associazioni, privati cittadini si erano mossi, avevano fatto sentire la propria voce e la situazione, in qualche modo, si era risolta.
Sette anni dopo ci risiamo nuovamente. La scorta al testimone di giustizia Pino Masciari, quella scorta con cui convive da 22 anni, da quando cioè aveva denunciato la ‘Ndrangheta, è stata revocata nei giorni scorsi. Revocata a lui, alla moglie, ai due figli. Per la scelta di non piegarsi alla criminalità organizzata, e anzi di denunciarne i legami con il mondo politico e imprenditoriale, Masciari ha pagato un prezzo altissimo: prima la distruzione delle sue imprese edili, e il conseguente azzeramento della sua fiorente attività edile in Calabria. Poi il Programma Speciale di Protezione, il dover abbandonare, con la famiglia, la propria terra, la propria casa, e quindi l’arrivo in Piemonte, e l’inizio di una nuova vita, una vita condivisa con quella scorta che da anni lo segue passo passo.
O meglio, lo seguiva fino al 13 ottobre scorso, quando il provvedimento è stato revocato: «Quest’ultimo atto di vessazione che mi è stato recapitato è solo l’ultimo anello di una catena che sta tentando di strangolarmi da trent’anni circa – commenta – Fa male dirlo, ma ogni anello è stato forgiato non solo dalla ‘Ndrangheta e dalle alte cariche delle istituzioni con essa colluse, loro hanno indubbiamente fatto la loro parte, ma purtroppo di questa catena ne sono artigiani anche coloro che, a capo dei vari uffici preposti alla gestione della mia vita, mi hanno trattato sempre come un numero, una matricola, un atto da sbrigare. E non è così! Adesso basta! La misura è colma». In questi anni trascorsi in Piemonte, quello di Masciari è diventato un volto noto. Noto per le tante, tantissime serate trascorse a parlare di mafia e anti mafia; noto per la presenza assidua sul territorio; noto per le tante cittadinanze onorarie che gli sono state conferite.
«Mi è stato chiesto cosa si può fare per aiutarmi – conclude – Forse l’unica cosa da fare è capire che è necessario un cambio di prospettiva: non è Pino Masciari che va aiutato, è la nostra società. Battersi per riconoscere il diritto a poter denunciare in sicurezza, con la garanzia che lo Stato resti al fianco delle persone per bene, tutelandole in ogni aspetto, non è qualcosa che serve solo a Pino Masciari. Le mie battaglie le ho sempre fatte e continuerò a farle, ma ciò che è assolutamente necessario è entrare nell’ottica che non è solo la mia vicenda a richiedere la mobilitazione, ma un intero modo di concepire il proprio ruolo all’interno della società civile. Non si può concepire che chi denuncia debba poi subire un trattamento pari a quello che abbiamo dovuto vivere io e tanti altri testimoni di giustizia. Battersi per questo sarebbe davvero la rivoluzione che potrebbe portare finalmente tutti alla condizione di sentirsi liberi e tranquilli di vivere e lavorare nel pieno rispetto della propria e dell’altrui libertà».
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