ROCK POLITICK – Come sappiamo, una delle categorie piú colpite dalla crisi causata dalla pandemia è quella delle attività commerciali.
Diversamente dal primo lockdown di marzo dell’anno scorso, che aveva coinvolto quasi tutti i cittadini e le classi lavorative, i commercianti si apprestano a vivere un’ estate molto strana.
Una cig che non arrivava mai, contratti a breve termine, un’incertezza generale e la voglia di lavorare, hanno spostato il capitale lavoro dal commercio cittadino alle grandi aziende. Sono molti i casi di ex camerieri e baristi che durante la pandemia per necessità si sono trovati a dover cambiare strada e abbandonare la propria passione per lavorare in fabbrica, dove il flusso del lavoro è rimasto costante, se non aumentato in alcuni casi.
Ed eccoci a parlare del paradosso che coinvolge bar e ristoranti: la mancanza di personale qualificato e di livello.
In un momento in cui la voglia di ripartire è tanta, molte attività non riescono a lavorare al 100% delle proprie possibilità a causa delle restrizioni e di un’organizzazione lavorativa a tratti improvvisata. In tutto ció gli affitti, soprattutto in una città come Rivarolo Canavese, pesano parecchio per il flusso di persone che puó avere una cittadina di neanche 15mila abitanti e a ció si aggiunge anche la scarsa voglia delle nuove generazioni di mettersi in gioco e tirarsi fuori la paghetta.
Il lavoro del cameriere e del barista è sempre piú visto negli ultimi anni come una forma di neoschiavismo a causa della spietata concorrenza che le grandi catene multinazionali hanno portato in questo settore, dove la figura di sala e del bancone viene sempre piú paragonata a quella di una macchina o di un automa, svilendo il lavoro dei responsabili di sala. La situazione non è ben diversa neanche nelle cucine, dove i sogni utopistici di “Masterchef” hanno descritto una realtà ben diversa alle nuove generazioni. Dietro la figura del cuoco ci sono anni di studi, di innovazione, di passione e di tanto duro lavoro.
La globalizzazione dopo aver distrutto il nostro sistema agricolo, si appresta a distruggere uno dei capisaldi della nostra tradizione e del nostro paese: il servizio alla persona.
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