PIEMONTE – “In Piemonte vanno adottate misure differenziate per aree omogenee, basate sull’analisi della distribuzione delle intensità di contagio, come per altre malattie da infezione come la malaria, anziché disposizioni uniche valide per tutto il territorio”.
È uno dei passaggi principali del primo rapporto che il gruppo di lavoro istituito dal presidente Alberto Cirio e coordinato dall’ex ministro Ferruccio Fazio ha consegnato all’assessore alla Sanità, Luigi Genesio Icardi, che ha immediatamente provveduto a sottoporlo all’Unità di Crisi per la predisposizione dei piani operativi conseguenti.
La strategia preventiva che verrà individuata per la Fase2 dell’emergenza “dovrà necessariamente basarsi sull’analisi della distribuzione delle intensità di contagio sul territorio del Piemonte”. Verrebbero quindi individuati diversi “strati” od aree, assimilabili e classificabili per omogeneità dei parametri considerati e/o della natura ed intensità degli interventi.
Il rapporto osserva a questo proposito che “è prevedibile che, ad esempio, l’area urbana di Torino rappresenterà uno strato autonomo, così come, per motivi diversi, potrà essere considerato uno strato unico quello comprensivo delle valli del Piemonte. La divisione in strati o aree omogenee avrà evidentemente anche lo scopo della destinazione selettiva e commisurata delle opportune risorse umane, materiali ed organizzative, che si svilupperà in funzione del volume e dell’intensità degli interventi previsti, quindi tarata in funzione della popolazione, dell’intensità di trasmissione dell’infezione e delle articolazioni logistiche necessarie”.
Su questo aspetto la relazione del Gruppo Fazio osserva che “la strategia necessaria per una fase di uscita dal lockdown deve prevedere obbligatoriamente la previsione di un rimbalzo generale dei contagi, numericamente diverso rispetto al tipo di riaperture e di scalabilità nell’uscire dal lockdown, con le necessarie predisposizioni di sicurezza messe a sistema e con la possibilità che si creino dei nuovi macro-focolai”.
Occorre pertanto che “il sistema di risposta della Sanità regionale si collochi in modalità di ‘tracciamento attivo’ dei contagi, senza attendere il peggioramento o il ricovero in ospedale, ma intercettandoli all’inizio per impedire che si diffondano ulteriormente su altri loro contatti, oppure che diventino più gravemente malati e prevalentemente ospedalizzabili”.
Diventa quindi fondamentale la disponibilità dei tamponi. “Al momento attuale – si legge nella relazione – la produttività massima teorica realizzabile, calcolata imputando per ciascun laboratorio la produzione massima realizzata, è di circa 9.000 tamponi al giorno. Considerato che non è ipotizzabile che ogni laboratorio realizzi ogni giorno il suo massimo teorico per problemi tecnici e di approvvigionamento di reagenti, si sottolinea che la produzione massima ottenuta il 23 aprile 2020 di 7.330 tamponi (81% del massimo teorico) appare un’ottima performance”.
Ma, visto che le iniziative di apertura di nuovi laboratori porteranno a un numero massimo teorico di 13.000 tamponi al giorno, ovvero 9-10.000 effettivamente realizzabili (70-80% del teorico), il gruppo sostiene che nel mese di maggio si consentirebbe di attuare una strategia di “contact tracing and testing” se un nuovo picco epidemico sarà inferiore o al massimo uguale a quello che il Piemonte ha sperimentato, tenendo conto che “sono comunque pianificabili ulteriori iniziative che permetterebbero di raggiungere un numero massimo teorico di circa 20.000 test al giorno, pari a circa 14.000-16.000 test effettivamente realizzabili”.
Sull’impiego di questa forma di esame il gruppo di lavoro rileva che “l’interpretazione a fini diagnostici, clinici ed epidemiologici deve avvenire in un contesto specialistico, senza il quale la lettura di qualsiasi risultato rischia di esporre il soggetto ad incauti provvedimenti, come l’incongrua attestazione di guarigione”.
In particolare, si raccomandano la supervisione di un medico competente per l’eventuale applicazione dei test in ambiti aziendali e la supervisione e/o l’autorizzazione delle Asl per i test sulla popolazione.
La relazione propone come obiettivo prioritario la predisposizione di “un modello di assistenza sanitaria territoriale che trovi il proprio fulcro nei medici del territorio, in primis i medici di medicina generale, valorizzando, al contempo, tutte le risorse che già operano sul territorio in ambito sanitario (ad es. le farmacie), ovvero che potrebbero essere opportunamente attivate (ad es. l’infermiere di comunità e altri operatori sanitari) al fine di migliorare la qualità dell’assistenza territoriale anche per la gestione delle cronicità, in un rapporto integrato con la rete ospedaliera, sfruttando altresì le potenzialità delle nuove tecnologie negli ambiti della telemedicina”.
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