di Enzo Bonaiuto
La questione della punibilità dell’aiuto al suicidio, a distanza di un anno dalla seduta al palazzo della Consulta sul caso Dj Fabo-Cappato, torna oggi all’attenzione dei giudici della Corte Costituzionale, che aveva dato appunto un anno di tempo al Parlamento per intervenire sul reato previsto dal Codice penale, che equipara nella punibilità l’aiuto al suicidio con l’istigazione al suicidio; tempo passato invano, visto che le Camere non hanno legiferato sul tema, che nel dibattito politico e nei suoi riflessi etici e religiosi investe o comunque sfiora anche la tematica dell’eutanasia.
Nella decisione con cui la Consulta, su iniziativa della Corte d’Assise di Milano, rinviava la questione al Parlamento, indicando in un anno il termine temporale in cui pronunciarsi, i giudici spiegavano che “la Corte Costituzionale reputa doveroso, in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale, consentire al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, così da evitare, per un verso, che una disposizione continui a produrre effetti reputati costituzionalmente non compatibili, ma al tempo stesso scongiurare possibili vuoti di tutela di valori, anche essi pienamente rilevanti sul piano costituzionale”.
Il Codice penale, nel suo articolo 580 dedicato a ‘istigazione o aiuto al suicidio’ afferma che “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito, ovvero agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da 5 a 12 anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da 1 a 5 anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova” in specifiche condizioni (determinate in precedenza; ndr). “Nondimeno, se la persona suddetta è minore di anni 14 o comunque è priva della capacità di intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all’omicidio”.
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