TORINO – Reclutate in Nigeria nei villaggi più poveri con la promessa di ottenere un titolo di studio e un lavoro in Italia, le ragazze venivano affidate a un “connection man” che aveva il compito di “traghettarle” dalla Nigeria fino all’Italia.
L’uomo gestiva un centinaio di ragazze. Un viaggio studio non era altro che un grande bluff.
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Connection man
I “connection men”, figura chiave della tratta: sono gli emissari delle organizzazioni criminali che prendono in carico le nigeriane, fino al loro arrivo in Libia, spesso fino all’arrivo in Italia. Garantiscono loro il viaggio, e istruiscono le ragazze nei minimi dettagli. Danno loro un numero di telefono da chiamare una volta arrivate nel centro. Il numero è dell’ultimo anello della catena, quello che le porterà fisicamente dalla “madam”, la nigeriana adulta che le costringerà, ricattandole, alla strada.
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Operazione
Il 20 agosto, i carabinieri della Compagnia di Torino Mirafiori, in collaborazione con i colleghi di Torino Borgo Dora, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di una nigeriana di 33 anni, residente a Torino, per avere reclutato e indotto alla prostituzione due connazionali (accertate).
La donna gestisce le ragazze e ha contatti con altri soggetti, allo stato non identificati, che si trovano in Nigeriae che, verosimilmente, organizzerebbero i cosiddetti “viaggi della speranza”. Le indagini dei militari, coordinate dalla Procura di Torino, che hanno portato all’arresto della donna, sono state avviate nel gennaio del 2018 in seguito alla denuncia sporta da una ragazza nigeriana, che riferiva di essere arrivata in Italia nel 2016 dopo aver percorso un lungo viaggio, stipata in autobus, insieme ad altri connazionali, fino alla Libia. Giunta a Lampedusa era stata trasferita a Settimo Torinese, avvicinata da una donna, era stata fatta uscire dal centro di accoglienza (dopo aver pagato 100 euro per la fuga) poi accompagnata in un appartamento di Torino, dove era stata consegnata a una “madame”. Era stata indotta a prostituirsi al fine di pagare un debito di 25.000 euro per la propria liberazione. I guadagni e le spese, tutte a carico delle ragazze (alloggio, preservativi, etc…) , venivano annotati su un libro mastro, sequestrato dai carabinieri.
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La vittima ha denunciato di essere stata affidata a un connection man, che gestiva un centinaio di ragazze, che l’ha aiutata nel suo viaggio verso una vita più bella. Le indagini hanno accertato che l’arrestata ha fornito ad almeno due donne un supporto logistico per il trasferimento dalla Nigeria all’Italia nonché un domicilio e una posto dove prostituirsi. La donna ha usato costantemente condotte violente e minacciose. La ragazza, prima di lasciare il suo villaggio in Benin City, era stata sottoposta al “rito voodoo” .
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Rito voodoo
Per arrivare in Italia dall’Africa hanno contratto un debito di 25mila euro: la promessa di un lavoro onesto in Europa e la prospettiva di una nuova vita vale la fatica di un viaggio ben poco confortevole e il giuramento di non rivelare mai, per nessuna ragione al mondo, il nome di chi le ha traghettate. Il giuramento va rispettato perchè altrimenti su di loro e sulle loro famiglie si abbatteranno sciagure, la pazzia, la morte: a sigillare il patto, un rito che avviene raccogliendo in un sacchetto alcuni oggetti e parti proprie delle vittime come sangue, unghie e capelli. Tutto questo fa paura e le vittime sono le tante ragazze nigeriane che una volta finite in questo incubo, faticano a vedere una via di uscita se non quella di stare sulla strada come schiave fino all’estinzione del debito.
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